‘Sopra il nudo cuore’, d’immagini, di Antonia Pozzi

‘Sopra il nudo cuore’, d’immagini, di Antonia Pozzi

Intervista a Giovanna Calvenzi e Ludovica Pellegatta

/ di Tiziana Altea

 

‘Sopra il nudo cuore. Fotografie e film di Antonia Pozzi’, a cura di Giovanna Calvenzi e Ludovica Pellegatta, è il titolo della mostra allestita dal 23 ottobre 2015 al 6 gennaio 2016 allo Spazio Oberdan di Milano. È stata realizzata dalla Fondazione Cineteca Italiana con il Comune e la Città metropolitana di Milano e il Centro Internazionale Insubrico Carlo Cattaneo e Giulio Preti. La mostra ha avuto un grande successo, contribuendo a dare ulteriore visibilità alla poeta e fotografa milanese, al suo talento, passione e sensibilità. Oltre 300 le fotografie esposte di e con Antonia Pozzi, e 6 ‘filmine’ inedite, in formato super8, girate dalla stessa. Non potevano mancare passi delle lettere e dei diari, e le poesie pozziane, che i visitatori hanno potuto tenere con sé, sui fogli stampati per l’evento. E poi un’altra sorpresa: le elaborazioni grafiche di H–57, con foto e versi di Antonia. Sul bel catalogo della mostra pubblicato da Silvana Editoriale con la Fondazione Cineteca Italiana, ‘Antonia Pozzi. Sopra il nudo cuore: fotografie’ (sempre a cura di G. Calvenzi e L. Pellegatta), l’agenzia H–57 scrive: ‘Ogni giorno viviamo momenti che sappiamo essere effimeri, nessuna cosa si ripete. Mai. Ecco il motivo del nostro interesse, le immagini che Antonia ci ha regalato sono il racconto di qualcosa destinato a finire, pur vivendo in eterno grazie a un rullino’. Forse è anche per questo che Pozzi ha un occhio particolare verso i bambini, germogli in attesa di sbocciare, nell’impermanenza.

Da qui vogliamo partire, in questa nostra intervista alle due curatrici della mostra.

D: Cosa finisce e cosa dura nelle fotografie di Antonia Pozzi?

Calvenzi: La fotografia di Antonia Pozzi è classica, serena. Destinata a conservare la capacità di emozionare. D: Tutta serena? Malinconia e inquietudine, due tratti tipici di Antonia, non emergono mai? Credo che aggiungere ‘sentimenti’ quando si guardano e interpretano le immagini sia un errore di soggettività. Sono immagini silenziose, quasi sempre accuratamente composte, che raccontano realtà agresti, personali, paesaggi e persone senza esprimere giudizi, senza sovrapporre alla realtà equilibrismi estetici. L’inquietudine in fotografia non vuol dire niente.

Pellegatta: Dura l’urto tra una vita sognata ‘tutta nutrita dal di dentro e senza schiavitù’ e l’impossibilità di trovare un radicamento esistenziale.

D: Quanta ricerca c’è della bellezza, nelle fotografie di Antonia? E come si bilancia con la ricerca del ‘nocciolo duro’ delle cose, della sostanza? Ne prevale una delle due?

Calvenzi: La ricerca della bellezza è probabilmente alla base della sua ricerca fotografica. Una bellezza figlia della serenità dei paesaggi, dei sorrisi dei bambini, della composizione graficamente studiata. Credo che per Antonia Pozzi la ricerca di una possibile serenità passasse attraverso l’esercizio della fotografia. Nella ricerca di un equilibrio formale cercava forse un equilibrio suo, intimo. Ma ovviamente questa è una mia interpretazione.

Pellegatta:  La ricerca della bellezza nella fotografia di Antonia si esprime come ricerca della sostanza delle cose.

D: Quali sono, secondo voi, i limiti e i pregi delle sue fotografie?

Calvenzi: Sono limiti biografici: troppo poche le immagini che raccontano la realtà della sua vita quotidiana. Le fotografie della Pozzi nascondono la realtà e raccontano soprattutto il suo desiderio di equilibrio.

Pellegatta: Nella sua tesi di laurea su Flaubert, Antonia Pozzi afferma che ‘L’arte è sempre un uomo singolo, l’arte è sempre un aspetto della realtà riflesso da un occhio umano; l’oggettività assoluta esiste solo nelle macchine fotografiche’. La sua fotografia risente del limite di questa illusione, ma negli anni diventa uno strumento per raccontarsi necessario tanto quanto la scrittura. Diventa un’esperienza, un atto con cui la poetessa dà voce a una ricerca di verità e autenticità. D: Se Pozzi pensava di essere oggettiva fotografando: che valore poteva dare alla fotografia in quanto arte e qual era per lei l’oggettività? E’ negli ultimi anni di vita, in particolare dal 1937, che Antonia arriva a una maggiore consapevolezza della fotografia come linguaggio e come arte. Nella dedica che accompagna il dono a Dino Formaggio di un corpus di quasi 300 fotografie, tra le più significative della sua produzione, la poetessa parla di fotografia come ‘specchio dell’anima’. Il dono viene offerto qualche mese prima del suicidio come un vero e proprio ‘lascito spirituale’.

D: Come avete incontrato Antonia Pozzi fotografa e il primo effetto, il primo, che vi ha fatto?

Calvenzi: Grazie al film di Marina Spada, ‘Poesia che mi guardi’. Sono rimasta colpita dalla maturità della sua fotografia e dalla discrepanza che notavo fra la sua poesia e le sue immagini. D: Discrepanza di che tipo? Le sue poesie e le sue fotografie raccontano due storie diverse. In generale si crede che in qualche modo la fotografia possa essere una sorta di “autoritratto obliquo”. Le poesie di Antonia Pozzi raccontano inquietudini, dolori, ripensamenti, strazio. Le sue fotografie, insisto, sono una ricerca di quiete, il racconto di una serenità che diverge radicalmente da quanto scrive.

Pellegatta: Il mio primo incontro con Antonia Pozzi è avvenuto attraverso le sue fotografie, nel 1998, in occasione della mia tesi di laurea in Estetica. Il primo effetto è stato come vedere uno specchio opaco, uno specchio che rifletteva un ritratto al negativo di una vita che nella sua epoca non trovò scampo: il ritratto di come Antonia avrebbe voluto essere e di come in realtà non fu.

D: E gli effetti successivi?

Calvenzi: E’ stato naturale approfondirne la conoscenza, cercare di saperne di più, di vedere di più.

Pellegatta: Totale dedizione, cura, dolcezza. Così definirei l’inclinazione di Antonia nei confronti della fotografia, a seguito del mio approfondimento delle fonti dell’Archivio Fotografico Pozzi.

D: E invece primo e secondo effetto dell’incontro con Antonia poeta?

Calvenzi: La poesia della Pozzi, nella sua immediatezza e nella sua semplicità, è estremamente coinvolgente. Ti porta nel suo mondo in modo diretto, ti illude di farne parte.

Pellegatta: L’incontro con Antonia poeta è stato toccante per l’intuizione di una singolare compresenza di pathos, simbolismo ed essenzialità.

D: Calvenzi, nel suo contributo al catalogo Silvana, lei rileva, della nostra, ‘una straordinaria capacità di usare la fotografia per inventare un mondo parallelo nel quale tensioni e paure lasciano il posto alla serenità e alla pace. Bisogna essere ‘veri fotografi’ per riuscire a raccontare il silenzio, a piegare la realtà secondo i propri desideri. Bisogna essere ‘veri fotografi’ per ‘vedere’ solo immagini che servono a costruire una visione del mondo capace di escludere tutto quello che disturba, un mondo che Antonia Pozzi vorrebbe esistesse, ‘normale’, lontano dalla violenza della storia che avanza, lontano dai turbamenti che la agitano’. Fotografia come fuga o fotografia come alterità, affermazione di un differente mondo possibile, o cosa? E come si è veri fotografi?

Calvenzi: Per me un ‘vero fotografo’ (ma è una definizione assolutamente soggettiva) è chi è capace di raccontare quello che vede e di far provare le sue stesse emozioni a chi osserverà poi le sue fotografie. Continuo a pensare che Antonia Pozzi con la fotografia si sia costruita un mondo parallelo, pacificato, luminoso, anche quando fotografa i lavori nei campi. Nelle sue immagini non c’è giudizio ma solo contemplazione.

D: Pellegatta, Antonia ha lasciato oltre 4000 fotografie e innumerevoli negativi. Oltre al delinearsi sempre più preciso di una poetica, di cui le chiediamo di illustrarci, c’è un cambiamento nei soggetti ripresi e ci sono delle costanti?

Pellegatta: Antonia Pozzi inizia a fotografare nel 1929, a 17 anni, molto probabilmente per influenza del padre Roberto, che fu un appassionato fotografo e viaggiatore. Si appassiona alla macchina fotografica anche per il desiderio di sperimentare un mezzo espressivo ancora poco diffuso, per quanto negli anni Trenta la fotografia fosse ormai parte integrante della vita quotidiana borghese, in particolare nella forma dell’album fotografico. Nei primi anni la Pozzi associa la fotografia soprattutto ai momenti di svago e vacanza: nei primi album sono infatti ricorrenti le immagini di viaggi e delle ascensioni alpine. Col tempo però si precisa una poetica che rivela una particolare attenzione per gli aspetti più umili e dimessi: la montagna, le barche solitarie, le scogliere, gli alberi, i boschi, i piccoli borghi rurali e il mondo contadino, la periferia, i bambini…
Hanno fondamentale importanza le implicazioni con il progetto di romanzo storico a cui la poetessa si dedica nell’estate del 1938. In autunno compie delle vere e proprie ‘spedizioni fotografiche’ a Pasturo e Zelata di Bereguardo, alla ricerca di quel ‘senso di umana semplicità’ della cultura contadina lombarda che avrebbe dovuto rappresentare il cuore del romanzo. Lo scopo di queste spedizioni è conoscere personalmente il paesaggio e farsi una cultura agricola: fotografa l’aratura dei campi, la fienagione, la battitura del grano, le risaie, la vita quotidiana contadina. Torna anche espressamente in alcuni luoghi ‘per fare delle fotografie contro luce’, a dimostrazione di come la Pozzi avesse ormai una chiara consapevolezza della fotografia come linguaggio e mezzo artistico.
Negli ultimi anni la fotografia diventa per Antonia un’esperienza da vivere in solitudine, alla ricerca di un’essenza profonda del reale.

D: Perché questa mostra e perché scegliere per titolo il verso ‘Sopra il nudo cuore’?

Calvenzi: C: La mostra è stata voluta da Matteo Pavesi della Cineteca perché c’era un nuovo film sulla vita di Antonia in uscita [‘Antonia’, di Ferdinando Cito Filomarino (2015) – ndr] . La novità vera era che per la prima volta, all’Università dell’Insubria, abbiamo potuto studiare tutti gli album con le immagini di Antonia Pozzi, scansionare le immagini che trovavo interessanti, aprire le buste che conservano altre immagini.

Pellegatta: Fondazione Cineteca Italiana ha voluto promuovere la prima grande mostra fotografica di Antonia Pozzi, in occasione anche dell’edizione nella collana I Tesori del MIC del film-documentario ‘Poesia che mi guardi’ di Marina Spada. Il direttore della Cineteca Matteo Pavesi ha scelto come titolo ‘Sopra il nudo cuore’, verso conclusivo della poesia Stelle sul mare, perché le immagini di Antonia Pozzi conservano la poesia di un viaggio in un mondo sospeso nel tempo, un viaggio verso l’essenza.

D: Qual è la fotografia a vostro avviso più bella scattata da Antonia Pozzi?

Calvenzi: Pesca grossa (Abbazia, agosto 1937)

 ap-pescagrossa-1937

 

Pellegatta: L’immagine dei bambini mentre giocano nei campi nella periferia di Porto di Mare, 1938

ap-bimbi-portodimare-1938

 

D: E quella che vi commuove di più?

Calvenzi: Grigna (settembre 1935)

ap-grigna-1935

 

Pellegatta: Il ritratto del cane e del maiale nella stalla di Pasturo, 1937

 ap-cane-maiale-stalla-pasturo-1937

 

D: Chi è Giovanna Calvenzi?

Calvenzi: Dopo avere insegnato per undici anni storia della fotografia, dal 1985 sono photo-editor e collaboro con diversi periodici italiani. Nel 1998 sono stata direttore artistico dei Rencontres de la Photographie ad Arles e nel 2014 delegato artistico del Mois de la Photo a Parigi. Insegno photo-editing e svolgo un’intensa attività di studio sulla fotografia contemporanea.

D: Chi è Ludovica Pellegatta?

Pellegatta: Mi occupo di progetti fotografici per istituzioni pubbliche, private e imprese, curando lo sviluppo dei contenuti e il coordinamento della produzione. Dal 2006 al 2013 sono stata project manager dell’agenzia Magnum Photos a Parigi, occupandomi della promozione e dello sviluppo di progetti speciali di comunicazione e di pubblicità.
Dal 1998 mi occupo della fotografia di Antonia Pozzi, realizzando la prima catalogazione digitale dell’Archivio Fotografico Pozzi e diverse mostre. Tra le mie principali pubblicazioni: ‘Antonia Pozzi. Sopra il nudo cuore’, a cura di Giovanna Calvenzi e Ludovica Pellegatta, Silvana Editoriale, Milano, 2015; ‘…nelle immagini si vede la mia anima…Antonia Pozzi. Viaggio in Liguria’, Comune di Camogli, 2014; ‘Antonia Pozzi. Nelle immagini l’anima’, a cura di Onorina Dino e Ludovica Pellegatta, Edizioni Ancora, Milano, 2008.

Grazie!

– Qui l’intervista in formato pdf >>>

 

ps Segnaliamo che a Paderno Dugnano all’Area Metropolis 2.0 (Via Oslavia 8) dal 10 giugno e fino al 22 settembre 2016 è allestita una selezione della mostra Sopra il nudo cuore. Fotografie e film di Antonia Pozzi’. Clicca qui per le info >>>

www.antoniapozzi.it – Tiziana Altea, luglio 2016 © Fonte foto: Centro Internazionale Insubrico C. Cattaneo e G. Preti – Archivio Antonia Pozzi (in copertina particolare di: panorama, Portofino, aprile 1938)