Io vengo da mari lontani

“(…) Una delle poesie più belle (Il porto) è stata scritta a ventun anni: immersa in una climax di acerba malinconia e di acuta nostalgia, e scandita da immagini aeree e impalpabili.

La vita interiore ed emozionale di Antonia Pozzi appare solcata, anche qui, dalla solitudine e dalla in-quietudine: nella metafora di una nave sferzata dai venti e macerata dagli uragani: alla ricerca di una riva che le consenta un approdo impossibile.

L’immagine più luminosa e più abbagliante è quella della nave che accoglie in sé l’orma di tutti i tramonti solcati e sofferti con queste antinomie linguistiche che rendono così moderna e così originale la poesia (…).

Questa nave ferita che si confronta con le onde perdute sulla sua scia; e poi questo cuore, questo cuore che non dimentica, questa memoria del cuore, che conosce i passaggi segreti, le scie solo apparentemente smarrite, delle rotte verso casa.

In ogni caso, la parte più bella della poesia è questa:

Io vengo da mari lontani –
io sono una nave sferzata
dai flutti
dai venti –
corrosa dal sole –
macerata
dagli uragani –

io vengo da mari lontani
e carica d’innumeri cose
disfatte
di frutti strani
corrotti
di sete vermiglie
spaccate –
stremate
le braccia lucenti dei mozzi
e sradicate le antenne
spente le vele
ammollite le corde
fracidi
gli assi dei ponti –

io sono una nave
una nave che porta
in sé l’orma di tutti i tramonti
solcati sofferti –
io sono una nave che cerca
per tutte le rive
un approdo –
Risogna la nave ferita
il primissimo porto –
che vale
se sopra la scia
del suo viaggio
ricade
l’onda sfinita?

Oh, il cuore ben sa
la sua scia
ritrovare
dentro tutte le onde!
Oh, il cuore ben sa
ritornare al suo lido!
(…)”

Eugenio Borgna, “Morire dell’indicibile fiore del sorriso”, in Le intermittenze del cuore, Feltrinelli, Milano 2003