Due libri, una voce. Di donna: Antonia Pozzi

Lo scorso 14 gennaio, nell’ambito del ciclo di incontri “Voci di donne”, organizzati dalla Biblioteca Nazionale Braidense presso la Sala Passione della Pinacoteca di Brera a Milano, sono state presentate le nuove edizioni ampliate e aggiornate, uscite nel 2022 per i tipi di Àncora, dei libri Per troppa vita che ho nel sangue. Antonia Pozzi e la sua poesia”, di Graziella Bernabò, e “Antonia Pozzi e la montagna”, di Marco Dalla Torre.

In questo scritto diamo conto dei loro interventi – seguiti alla ricca introduzione di Onorina Dino, creatrice dell’Archivio Antonia Pozzi e curatrice, con intelligenza e dedizione di tutta una vita, delle sue opere -, riportandone alcuni passaggi.

A premessa, doveroso ricordare anche i contributi offerti dall’ospite dell’iniziativa, Marzia Pontone, Direttrice Scientifica della Biblioteca Nazionale Braidense; da Enrico Tosi, addetto stampa di Àncora ; e, in chiusura, da Diana De Marchi, Presidente della Commissione Pari Opportunità e Diritti Civili del Comune di Milano.

Rispetto alle precedenti edizioni (2004 con Viennepierre e 2012 con Àncora), il libro è stato migliorato nell’impostazione tipografica e notevolmente arricchito nell’apparato fotografico. Sul piano dei contenuti poi, posso dire di averlo non solo ampliato ma anche in larga misura riscritto. Prima di tutto perché ho voluto confrontarmi con la ricca, e spesso stimolante, bibliografia critica su Antonia Pozzi degli ultimi anni. Ma dietro questa nuova edizione c’è stato soprattutto il lungo lavoro che ho condiviso con suor Onorina Dino presso l’Archivio di Pasturo per le edizioni integrali di Àncora delle opere pozziane. Un lavoro capillare che mi ha chiarito nei minimi termini la censura di Roberto Pozzi sulle carte della figlia; ma che mi ha anche consentito di esaminare dettagliatamente le lettere indirizzate ad Antonia da vari corrispondenti e quelle giunte alla famiglia dopo la sua morte. Documenti importanti per comprendere la sua meravigliosa capacità di relazione e per delineare meglio la fisionomia delle persone che più le furono vicine: genitori, parenti, amiche e amici, uomini amati. Altre nuove testimonianze e altri nuovi documenti mi hanno permesso, inoltre, di circostanziare con maggior precisione momenti ed episodi della vita di Antonia, soprattutto degli ultimi anni, con particolare riferimento al suicidio. Alla fine del volume ho poi aggiunto un capitolo interamente nuovo, in cui ho preso in esame il percorso editoriale delle poesie della Pozzi, mettendo in evidenza in modo puntuale come l’ambiente banfiano le abbia sottovalutate anche dopo la sua morte”. Così Graziella Bernabò parla delle novità presenti nella nuova edizione della sua biografia, costruita “esclusivamente su fatti documentati” e facendo tesoro di un “lavoro metodologico sulla scrittura biografica relativa a figure femminili che alla Libreria delle donne di Milano ho condiviso con le amiche del gruppo di storia, in particolare con Luciana Tavernini, che ha seguito l’intera stesura del libro. Su questa base ho utilizzato categorie interpretative notevolmente diverse da quelle delle biografie tradizionali esemplate sul maschile, che certo non sarebbero state adatte a raccontare la vita di una donna. A maggior ragione di una donna come Antonia Pozzi, interiormente libera, perciò non riconducibile agli schemi sociali, culturali e letterari della sua epoca”.

Tra le fonti di Bernabò non ci sono stati solo documenti ma anche il dialogo con persone che avevano conosciuto la poetessa e fotografa. A partire dalle amiche e sorelle d’adozione, Lucia Bozzi e Elvira Gandini, conosciute da Antonia nel 1927, nella sala cataloghi proprio della Biblioteca Braidense, mentre cercava libri che le erano stati suggeriti da Antonio Maria Cervi, in quell’anno suo professore di latino e greco al liceo Manzoni di Milano e poi suo indimenticabile primo amore. E fino all’ultima speranza del suo cuore, Dino Formaggio, di cerchia banfiana.

Antonia Pozzi visse dal 1912 al 1938, un periodo “purtroppo molto breve, per cui la sua creatività si poté esprimere in meno di un decennio, tra adolescenza e giovinezza. Comunque di lei sono rimaste 322 poesie, attualmente oggetto di una crescente, e ormai straordinaria, riscoperta in Italia e nel mondo. Si tratta di una poesia in larga misura autonoma rispetto alla lirica italiana degli anni Trenta, perché lontana dalla poetica dell’‘assenza’, dalle rarefazioni e dalle oscurità degli ermetici, ma anche dall’asciutta poesia affidata ai soli oggetti dell’amico fraterno di Antonia, Vittorio Sereni, un altro grande poeta giustamente apprezzato da Luciano Anceschi, il principale critico di ambiente banfiano, che invece, ingiustamente, sottovalutava i versi pozziani”, sostiene Bernabò.

Ma in cosa si distingue la poesia di Antonia Pozzi? “È poesia del radicamento forte e vivo nella realtà, la poesia per eccellenza della relazione con la totalità dell’esistente, quindi non solo con le persone, ma anche con gli animali (molto presenti nelle sue liriche), con la natura, con i luoghi e perfino con le ‘cose sorelle’. Parallelamente, basandosi sulla concretezza di esperienze personali, Antonia riesce a dar voce con ampio respiro alle profondità del cuore umano, alla ricerca di un significato autentico della vita e della stessa poesia; a un certo punto, anche alle tragedie della storia, che si ripetono nel tempo: la guerra e la miseria dei ceti sociali più svantaggiati”.

I versi sono valorizzati da una fine elaborazione stilistica, come si evince dalle numerose varianti autografe, e “solo attraverso letture attente e ripetute se ne possono cogliere le varie stratificazioni. L’apparente facilità delle liriche pozziane dipende dal fatto che procedono per immagini sensoriali e materiche, quindi con un linguaggio corporeo, metonimico, di grande impatto emozionale. In questo modo Pozzi supera la frattura tra parola e corpo che quasi tutti i poeti della sua epoca si imponevano come un dovere – evidenzia Bernabò – e riesce a esprimere con grande originalità un immaginario di donna ardente e libero, in anticipo sui tempi. Non deve stupire che la sua poesia non fosse adeguatamente considerata nel suo ambiente intellettuale”.

Graziella Bernabò ha fatto un excursus del percorso poetico ed esistenziale di Antonia Pozzi, sintetizzando bene e con grande passione la biografia letteraria che ha scritto e che è un riferimento imprescindibile per chi voglia avvicinarsi nel profondo a questa straordinaria voce femminile del Primo Novecento.

Una voce che parla anche al nostro presente, e la biografa lo sottolinea ad esempio nel presentare e commentare la poesia del 1° novembre 1937 La Terrain cui, con crude immagini espressionistiche di portata cosmica, sono rappresentati i massacri delle guerre sino-giapponese e di Spagna”:

Stella morta, ai tuoi orli
nubi di sogno e corolle di parole
volgi nei cieli.

Vedo per fondi mari
pescatori notturni metter barche
e sulle chiglie tracciare ghirlande
di gialle margherite,

vedo in fronte ai ghiacci
volti di santi spalancarsi all’alba
sui muri delle stalle:

e a mezzodì s’avanza il vecchio gobbo,
canta sui ciotoli e per le donne accorse
fra i trilli del suo timpano d’argento:
“È fiorito il bambù, dopo cent’anni.
In riva a tutti i mari e ne morrà.
Coll’autunno si secca la foglia,
a oriente scorron fossati di sangue,
vidi le braccia di migliaia d’uccisi
penzolar sull’abisso
ad occidente”.

Nubi di pianto e corolle di deliri
si torcono ai tuoi orli
o Terra.

“Antonia Pozzi parte da tre piccoli mondi, a lei familiari e cari: il litorale dell’Adriatico con le barche dei pescatori vivacemente dipinte ma spettrali nel buio della notte», la Val D’Ayas con i volti dei santi che sui muri delle baite sembrano ‘spalancarsi’ sconcertati, e poi Pasturo con la sua fiera di settembre.

Microcosmi di per sé sereni che vengono improvvisamente turbati dall’annuncio degli orrori della guerra, affidato al ‘vecchio gobbo’, mendicante indovino della Valsassina, quindi personaggio reale e fotografato dalla stessa Pozzi, ma nello stesso tempo ancestrale e mitico profeta di quel piccolo mondo, e in fondo, del mondo intero. Da qui il ricorso all’immagine forte della fioritura del bambù, considerato in Oriente un segnale infausto.

Nella poesia la condanna della guerra è assoluta e coraggiosa in pieno fascismo – considera Bernabò –, ma va al di là di una semplice astrazione ideologica, in quanto nasce da un dolore molto concreto e fisico, che Antonia vive nella propria pelle e condivide con le donne di Pasturo, accorse ad ascoltare le profezie del ‘vecchio gobbo’”.

 

La biografia scritta da Marco Dalla Torre, “Antonia Pozzi e la montagna” esplicita già nel titolo che congiunge un rapporto che per la poetessa è sia libertà che radicale senso d’appartenenza. E che per lui non può che essere all’istante anche affettivo: “Ho incontrato Antonia per caso (o per Provvidenza) vent’anni fa. Immediatamente ne sono rimasto coinvolto e stupefatto. Ne è nata una grande amicizia. A prescindere dalla montagna – racconta Dalla Torre –. Però, certo, essendo un appassionato, mi sono reso conto dell’importanza della montagna e dell’alpinismo nella vita e nella poesia di Antonia. Per me, che tanto amo questa immersione nella natura alpina, è stata naturalmente una rivelazione”

Infatti non è tratto consueto nel panorama lirico italiano. “L’alpinismo nasce a fine Settecento/primi anni dell’Ottocento. Prima, a parte l’ascensione di Petrarca al Mont Ventoux (in Provenza), o il Monte del Purgatorio dantesco (in cui c’è più esperienza pratica di ascesa di quanto ci si immagina), c’è ben poco.
E anche dopo, solo qualche poesia di Carducci o, più modestamente, di Giovanni Bertacchi.
Ai primi del Novecento, Clemente Rebora ha praticato molto l’alpinismo, che però pare riversarsi di rado nelle sue poesie. Oppure, c’è l’escursionismo del Dino Campana in pellegrinaggio alla Verna”.

Da cosa è partito Dalla Torre? Dalla curiosità, innanzi tutto, di “ricostruire” il sentiero che la Pozzi intraprende per avvicinarsi alle cime. “Antonia si iscrive giovanissima al CAI Milano (lo sono anche io e mi ha colpito pensarla recarsi tante volte nella sede storica – più di 100 anni – nell’ottagono della Galleria, sopra le vetrine attuali del negozio di Dior). Il Club Alpino, dopo i primi decenni molto elitari, si stava aprendo alle classi più umili, ma la sezione di Milano continuava ad essere frequentata dalle classi più alte, le famiglie nobiliari ma anche quelle degli imprenditori e dei professionisti.

E delle tante attività cui lei ha partecipato, due mi sembrano quelle che lasciarono maggior traccia. La ‘sciopoli’ a San Martino di Castrozza, e il X Attendamento sociale nella conca del Breil (dove oggi, sventuratamente, è cresciuta Cervinia), che le ispirò bellissime poesie”.

Tra le quali, Attendamento, scritta tra il luglio del 1933 e il 21 agosto dello stesso anno:

Stanotte calerà il vento
immenso falco
sulla nostra tenda;
rapirà le nuvole
lacerate.
Sul nostro sonno
le stelle
sciolte dai veli
intrecceranno ghirlande
di fiamma e lentissime danze.
All’alba
sarà tepido il risveglio,
dolce come l’accendersi
di una lampada fioca:
il canto del torrente
sosterrà
fedele
sopra il suo grembo
il silenzio fanciullo.
Per noi, portati
dagli artigli notturni
del vento,
giaceranno i messaggi delle vette
alla soglia:
leggerli sarà lavare
nel puro azzurro
gli occhi le mani
il cuore –

“Da questi versi si può avere un’idea di come Antonia vivesse la natura alpina – rileva Dalla Torre –. Quella dell’alta montagna è una natura quasi ancora (più allora che oggi) allo stato primordiale, come all’epoca della creazione. È difficile spiegarlo a chi non lo ha provato. Ma davvero le sensazioni sono molto accentuate, è lo stupore davanti a ciò che è immensamente grande. Forse è uno stereotipo che in alta quota è più facile pregare. Però nella Pozzi si nota come un potenziamento della sua vita spirituale (non confessionale). La natura complessivamente, non solo quella alpina, ha avuto di certo su di lei un ruolo terapeutico, rasserenante, anche di entusiasmo per le proprie capacità fisiche che mette alla prova (l’alpinismo è un’attività insieme fisica, mentale e contemplativa).

Anche il libro di Dalla Torre è stato aggiornato e ampliato rispetto all’edizione del 2009, e tra le ragioni portate ad esempio la principale è che tutti i testi della Pozzi sono ormai pubblicati nella loro esattezza e completezza. Si pensi al carteggio tra Antonia e Dino Formaggio (pubblicati tra il 2011 e il 2016), che rivela molto del mondo interiore di Antonia”. E strappa un sorriso apprendere anche: “Ho scoperto che le vacanze del gennaio 1933 a San Martino di Castrozza erano all’interno della ‘sciopoli’ organizzata dal CAI Milano. Dato interessante, perché si capisce dalle lettere che Antonia non ha nessun problema a vivere in un ambiente goliardico e scanzonato di 600 universitari e, al tempo stesso, a scrivere a Lucia Bozzi della bianchezza e del silenzio montani”.

La montagna è amore incondizionato per la Pozzi, fonte d’ispirazione lungo tutto l’arco creativo, dal 1929 al 1938. E “sono montagne diverse, non solo geograficamente; affrontate e vissute con stati d’animo molto differenti ma comunque secondo una linea poetica molto caratterizzata, colma di energia. Davvero – insiste Dalla Torre – per Antonia la montagna ha avuto un ruolo salvifico”.

Peccato non fosse lì il 2 dicembre 1938, magari ci sarebbe stato un diverso finale.

Alcune foto dell’iniziativa