Dalle Lettere – Al Professor Antonio Banfi – Milano, 25 settembre 1935

Gentilissimo Professore,
devo chiederLe infinitamente perdono se soltanto ora mi faccio viva per darLe notizia della mia tesi. La verità è che, strada facendo, sono intervenuti tali e tanti mutamenti nel piano primitivo del mio lavoro, che non so come parlarne per iscritto. D’altra parte, mi sembra ora di essermi messa su una via che mi persuade di più, di aver raggiunto un angolo di visuale veramente mio e di star facendo (incredibile a dirsi) un lavoro non fatto prima da altri.
Prima che cominciassi a scrivere, Ella mi aveva avvertita di un rischio: quello di cadere nell’analitico e nel diffuso, esaminando le opere giovanili di Flaubert. Devo confessarLe che in parte sono proprio caduta in questa tendenza, che però non vorrei chiamare errore, dato che ho cercato di non accumulare una congerie di particolari eterogenei, ma di tenere sempre presenti le due direzioni fondamentali della personalità flaubertiana, la fantastico-romantica e la critico-realistica, dal cui attrito scaturisce il valore essenziale di un’estetica che è anche la soluzione di una vita. Poiché il nodo della storia spirituale di Flaubert consiste in un superamento interiore, mi è sembrato che fosse di grande interesse seguire passo per passo, fin da principio e in modo organico, lo svolgersi di questi aspetti, avendo sempre in vista, come effetto finale, il maturarsi del problema artistico.
Il quale, nella prima Education, è già nitidamente posto: ma la soluzione è ancora tutta schematica, astratta; le manca il contenuto umano, quella tensione intima in virtù della quale l’opera flaubertiana si salva dal pericolo del tecnicismo, resta librata in un’atmosfera di equilibrio estremo, a cui concorrono non solo tutte le forze di una personalità ma, simbolicamente riassunte in questa, anche le forze di tutta una cultura. Questo contenuto non potrà farsi strada, mettersi a circolare col sangue stesso dello scrittore che durante gli anni della “grande prova”, gli anni di pena della Bovary. Allora le cose, le cose alle quali egli al principio della sua fatica si rivolge perché gli creino, gli animino quei fantocci buttatigli per caso davanti da una parola degli amici, le cose penetrano lentamente in lui, gli costruiscono all’interno dell’anima, l’anima della Bovary, ed egli diventa “la donna e l’amante, i cavalli ed il muschio del bosco”.
Mi pare che alla fine di una simile analisi, condotta coi raffronti continui della Correspondance, il quadro della estetica flaubertiana sia sufficientemente delineato e che non occorra aggiungere un’esposizione teorica della stessa. Il Flaubert delle opere successive può considerarsi, su per giù, sistemato. Le basi del suo realismo storico erano già gettate al tempo del viaggio in Oriente (“l’âme humaine n’est point partout la même”), e anche di questo aspetto ho già potuto parlare. Mi parrebbe quindi che l’aver studiato la risoluzione del problema anziché il problema risolto non costituisca un’amputazione del lavoro, anche fermando le ricerche all’anno 1857.
Però lo studio resta condotto con andamento prevalentemente storico e per questo non so se si confaccia alle esigenze di una tesi. Io aspetto di sentire da Lei, Professore, al Suo ritorno a Milano, un giudizio sul lavoro compiuto.
Se Lei giudicherà di poterlo accettare e mi consiglierà di presentarlo in questa sessione, io Le domanderò il permesso di poterlo irregolarmente presentare entro il 10 di ottobre: se invece ci sarà da rifare, rifarò e rinvierò.
Mi perdoni, La prego, il lungo silenzio e la libertà di ora. Mi perdoni anche di non averLe mai saputo dire grazie per tutta la bontà che Lei ha avuto per me, per il bene di cui un giorno Le parlerò, che mi è venuto da Lei in questi anni. Creda alla mia devozione fedele.
Antonia Pozzi