Dai Diari – 4 febbraio 1935

“Il mio disordine. È in questo: che ogni cosa per me è una ferita attraverso cui la mia personalità vorrebbe sgorgare per donarsi. Ma donarsi è un atto di vita che implica una realtà effettiva al di là di noi e invece ogni cosa che mi chiama ha realtà soltanto attraverso i miei occhi e, cercando di uscire da me, di risolvere in quella i miei limiti, me la trovo davanti diversa e ostile.
“Perché l’altro giorno ho pianto quando Banfi ha parlato dell’Angelico? Anche in me gli schemi si dissolvono e nasce il realismo umano. O piuttosto vorrebbe nascere e non può, in nessuna forma della realtà può esprimersi, come un pianto che non trova gli occhi per cui sgorgare, un sorriso che non ha volto in cui aprirsi.
Rifiuti, da tutta la realtà, ad ogni passo. E ad ogni passo, nuove ricerche per una realtà che non esiste.
E che non deve esistere.
Di questo la coscienza mi avvisa. Donarsi è abdicare alla propria personalità.
[…]
Tortura è stata la mia maternità immaginaria, valida fino a che ci fu al mio fianco un essere che condivideva questo anelito di salvazione di una vita in un’altra vita, valida finché fu non illusione, ma speranza, e speranza di bene non soltanto per me; ma quando si riconobbe illusione e divenne soltanto dolore mio, si isterilì, si schematizzò. Feci del mio dolore un’astrazione, un’armatura su cui appoggiare, scaricare la responsabilità della mia vita.
Da quel momento il mio dolore non ebbe più ragione, più diritto di esistere. Compiuta la rinuncia, io avrei dovuto ricominciare a vivere, non fare di quella una teoria per sostenere la negatività della mia vita. Come se quella che era stata la mia vita morale, giustificasse la mia vita amorale della giornata. Amorale perché subita, coscientemente subita come uno smembramento della personalità, un lasciarsi andare, disperdersi fra le cose, le anime, i gesti irriflessi, senza un nocciolo interno, una mano che raduni le fila, che prema l’uva perché ne coli il mosto.
Desiderare di donarsi non può non essere la suprema delle aspirazioni di una creatura; ma volersi ad ogni costo donare quando del rifiuto delle cose si ha già avuta coscienza, è uno sconfinare illecito, un proiettarsi in gigantesche fantasie che non hanno più realtà di un’ombra nera sul muro. […]”