A me è sacra la poesia

“E questa nostra vita irrimediabile, questo nostro cammino fatale, in cui ad ogni istante noi realizziamo, noi creiamo, per così dire, Dio nel nostro cuore, altro non può essere che l’attesa del gran giorno in cui l’involucro si spezzerà e la scintilla divina balzerà nuovamente in seno alla grande Fiamma.

Ora, di questo Dio che non si lascia staccare dalla vita, dove possiamo avere più immediato il senso che nei momenti in cui più la lotta si acuisce tra lo spirito e le forme che inceppano il suo fluire?

E non è la poesia uno di questi momenti?

L’estasiata gioia del sogno non si sconta forse nel bisogno e nella fatica di gettare quel sogno in parole? e un po’ dell’assolutezza divina non riluce forse nell’atto di quella fatica?

Io credo che il nostro compito, mentre attendiamo di tornare a Dio, sia proprio questo: di scoprire quanto più possiamo Dio in questa vita, di crearLo, di farLo balzare lucendo dall’urto delle nostre anime con le cose (poesia e dolore), dal contatto delle nostre anime fra di loro (carità e fraternità).

Per questo, Tullio, a me è sacra la poesia; per questo mi sono sacre le rinunce che mi hanno tolto tanta parte della giovinezza, per questo mi sono sacre le anime ch’io sento, di là dalla veste terrena, in comunione con la mia anima”.

Dalla lettera di Antonia Pozzi a Tullio Gadenz, 29 gennaio 1933