Intervista a Elisabetta Vergani / di Tiziana Altea

In occasione dell’avvio di una nuova fase e veste di questo sito, www.antoniapozzi.it, ho il piacere di pubblicare un’intervista che Elisabetta Vergani mi ha rilasciato in seguito al suo spettacolo teatrale “Radici profonde nel grembo di un monte”, andato in scena a Pasturo, dal 18 al 20 giugno 2011*, proprio a Villa Marchiondi, la residenza estiva dei Pozzi.

Ho assistito allo spettacolo il 19 giugno. Tremava. Le ho chiesto “hai freddo?”  – era una sera fresca a Pasturo – e ha scosso la testa. Vibrava. Vibrava ancora, Elisabetta Vergani, dopo la sua interpretazione di Antonia Pozzi. Non aveva freddo. Non ha avuto freddo durante lo spettacolo: è stata cassa di risonanza del messaggio poetico, delle emozioni e del pensiero di Antonia fin nella carne. E, segno di stile, senza retorica. Un’interpretazione intensa, con i toni dell’inquietudine, della disperazione, della paura, del pudore, dell’attesa, della consapevolezza, della gioia, della leggerezza: le diverse Parole, da lei – qui anche drammaturga – cucite assieme, con una sensibilità visceralmente femminile, agli altri scritti pozziani (lettere e diari), rivivono appieno nella loro potenza e attualità, coinvolgono e turbano. Elisabetta Vergani è attrice unica. Ma lo spettacolo è multimediale: la musica dal vivo e le immagini proiettate sono parte attiva del linguaggio drammatico, co-protagoniste della scena. Suggestivo è il contemporaneo spalancarsi delle finestre incorniciate – in un gioco di luci – dalla proiezione, alle pareti, di autografi di Antonia e di fotografie che la ritraggono. Anche il pubblico viene coinvolto di più, dovendosi spostare seguendo le tappe della rappresentazione: all’esterno, davanti al cancello dell’ingresso principale, nel loggiato, nel cortile, nel giardino. I vari passaggi non servono solo da pausa, più spesso amplificano le impressioni, perché il messaggio della Pozzi è vivo, si sente, e lei pare con noi. Lo è. Lo è anche attraverso le foto da lei scattate e che vengono proiettate su un telo in cortile: tra queste, le foto dei bambini tanto amati, accompagnate da una splendida e toccante interpretazione di Rossori. E con la musica che sempre ci segue e seduce. Assolutamente da segnalare, accanto a Rossori, la resa esecutiva di Poesia che mi guardiLe montagneRitorno vespertinoNebbiaLa porta che si chiudeRadiciPeriferia (1938), PratiMessaggio. Ed è con i versi di Messaggio che chiudono lo spettacolo, qui, tra le cose più sue, a Pasturo tra le materne montagne – le radici, la fonte sorgiva dell’anima – che sotto limpide stelle Antonia parla ai vivi della vita che si rinnova con la poesia. E la si sente sorridere.

 

Perché e come arriva Antonia Pozzi nel percorso artistico di Elisabetta Vergani? Come: in maniera casuale, in un viaggio da Roma a Milano ho cominciato a leggere la sua poesia. Poi una cara amica, Zina, della Libreria delle donne, mi ha messo in mano la biografia critica di Graziella Bernabò Per troppa vita che ho nel sangue: Antonia Pozzi e la sua poesia e leggendolo ho trovato domande che erano anche le mie, una città, Milano, che è la mia, un bisogno di appartenenza alla città – dal centro alla periferia – che anch’io percorro ogni giorno in bicicletta, una brama di vivere a golate gioiose la vita che pure per me risuona forte. E nello stesso tempo una corrispondenza del sentire, anche dei lati bui, oscuri, come davvero raramente mi è accaduto: quel che per lei è la poesia per me è il teatro: nutrimento. E tanto altro ancora… Ho telefonato a Graziella, l’ho conosciuta e, anche grazie a lei, si è fatto sempre più urgente il desiderio di raccontare in teatro Antonia attraverso la sua vita e la sua poesia.

 

Cosa ha significato e significa per te, come attrice e come donna, mettersi nei panni di Antonia Pozzi? Empatia, mettermi al servizio come strumento per veicolare al pubblico le sue emozioni che sono la materia, la carne della sua poesia, riconoscersi e riconoscermi in questo atto; prestare a lei il mio corpo e la mia voce e affermare la vita della sua poesia: mi viene in mente la Woolf in un passo di Una Stanza tutta per sé – cito a memoria – “… perché i grandi poeti non muoiono, sono presenze che rimangono, hanno bisogno di un’opportunità per tornare in mezzo a noi in carne e ossa e offrire loro questa opportunità dipende da noi…”. Ho provato davvero a darmi questa opportunità e ho scoperto che Antonia è più viva oggi di quanto forse non lo fosse nella sua vita reale; anche per questo spero di riuscire a realizzare davvero una grande festa per il suo prossimo compleanno, il 13 febbraio 2012 – 100 anni! – con l’aiuto di tutti coloro che le hanno dato questa possibilità grazie ai loro scritti, alle loro biografie, alle tesi di laurea, agli studi critici, etc.

 

Perché la scelta di ambientare il tuo spettacolo “Radici profonde nel grembo di un monte” a Pasturo, nel loggiato, nel cortile e nel giardino di Villa Marchiondi? Perché uno spettacolo itinerante, e in tre tappe? Pasturo, il luogo della sua anima, qui ha scritto molta parte delle sue poesie, qui sono conservati, grazie a Suor Onorina Dino, i suoi scritti, le cose della sua vita… Da qui Antonia partiva per scalare la Grigna, la montagna – che tanta parte ha nella sua creazione poetica – che è ebbrezza, volontà di ascesa e grembo, madre… A Pasturo ha vissuto tanta vita e qui ha voluto essere sepolta, nel grembo della sua montagna… Nel 1935, in una lettera a Remo Cantoni, scrive: ”Sempre, tutte le persone a cui ho voluto più bene, ho desiderato che venissero qui; perché vederle qui è come una consacrazione, una benedizione dell’affetto che mi lega a loro […,] qui potrò sempre ritrovarle vive, anche quando saranno lontane e mi avranno dimenticata”. Io e la mia compagnia, abbiamo goduto di un privilegio immenso: abbiamo abitato in casa sua, abbiamo preparato lo spettacolo dentro le mura della sua casa e nel suo giardino, abbiamo cercato di guardare come faceva lei e vedere le cose che vedeva lei, gli alberi, le primule, i campi, i covoni di fieno; abbiamo parlato con la gente del luogo che, diffidente all’inizio, ci si è avvicinata man mano ascoltando la villa risuonare di musica parole e immagini, le sue fotografie. Abbiamo voluto restituire il più possibile tutto questo al pubblico. Le tre tappe per riuscire a far fruire più spazi agli spettatori. Poi, certo, i tre luoghi più il cancello del suo giardino – luogo fisico e dell’anima tante volte protagonista nelle liriche pozziane – sono anche tematici: il cortile la poesia; la parte bassa del giardino Pasturo, la sua gente, i bambini e la montagna; il giardino alto la sua parte più nera, più inquieta, La porta che si chiude, alcuni echi diPeriferia (1938), echi e frammenti dell’ultima parte della sua produzione poetica, quella del ’37-’38… Poi l’angelo di Pasturo. E infine il cancello: la soglia e la pace.

 

Quali criteri e scelte hanno guidato la tua elaborazione drammaturgica? In particolare, oltre agli altri scritti, quale filo conduttore ti ha guidato nella selezione delle liriche pozziane? Per lo spettacolo Radici profonde nel grembo di un monte il filo conduttore è stato Pasturo, la sua gente, la montagna e la casa, nella scelta delle liriche, degli scritti e delle immagini. Certamente in questa linea il cuore è la lirica Rossori.

 

Particolarmente toccanti ed efficaci gli inserti poetici e fotografici dove sono protagonisti i bambini… Sì, come dicevo prima è Rossori il cuore: perché in questa lirica la lacerazione di Antonia, il suo bisogno e desiderio di appartenenza mai appagato, il suo sentirsi una “cosa curiosa”, prigioniera del giudizio di sé e degli altri, il tema del corpo goffo pesante imprigionato, la vergogna di sé, sono visti attraverso gli occhi dei bambini di Pasturo che la guardano davanti al cancello del suo giardino. Gli occhi dei bambini sono lo specchio che restituisce ad Antonia questa percezione di sé e insieme il desiderio di essere altro, esattamente il contrario: “piccina, povera, oscura” e libera.

 

E l’idea di proiettare sulle pareti di Villa Marchiondi autografi pozziani? È di Maurizio Schmidt, il regista dello spettacolo, con cui lavoro da vent’anni e senza il quale non avrei mai potuto fare quello che avete visto. Prezioso e sensibile interlocutore, mio fedele alterego nel lavoro, lucido, appassionato e necessario occhio esterno, strenuo difensore e garante del pubblico, cioè dell’altro protagonista del teatro, senza il quale il teatro non esiste. L’autografo di Antonia proiettato sul muro della casa, insieme ad alcune poesie e scritti, sono il segno della presenza viva di Antonia, e la testimonianza della vita che scorre nella sua poesia.

 

Ottima regia e bravissimi musicisti. Raccontaci del tuo team teatrale. Oltre a Maurizio Schmidt, che ha curato la regia e tutta la parte delle immagini, Filippò Fanò ha scritto le musiche e le ha poi eseguite dal vivo alle tastiere, insieme a Mario Arcari ai fiati e a Leonardo Ramadori alle percussioni. Lavoro da tanti anni con Filippo; insieme abbiamo sviluppato una modalità di lavoro per cui la musica non è mai sottofondo o colonna sonora delle parole, ma è drammaturgia e, come la parola, azione drammatica. Questo vale anche per Mario e Leonardo, eccellenti musicisti, dotati di una splendida sensibilità non solo verso la musica ma anche verso il teatro. Per questo ci siamo trovati e scelti. Ma lo stesso vale per tutte le altre persone che hanno contribuito alla realizzazione dello spettacolo: Michele Losi di Scarlattine Teatro, che ha curato la parte tecnico-logistica e organizzativa e che è coproduttore dello spettacolo; Andrea Violato che ha disegnato le luci, Giulia Sabeva che le ha mandate durante lo spettacolo; Tania Corradini e Matteo Lainati che hanno realizzato lo spazio scenico; Nicola Anolfi che ha curato la parte fonica. Il teatro è un gioco di squadra dove mai nessuno si salva da solo e noi siamo stati davvero un’ottima squadra. Grazie di cuore davvero a tutti!

 

Il tuo spettacolo teatrale su Antonia Pozzi segue, a qualche anno di distanza, il film diretto da Marina Spada Poesia che mi guardi, sempre dedicato alla nostra. Ferma restando la diversità delle due forme di spettacolo, ritieni ci siano punti di contatto nell’interpretazione del messaggio pozziano? Viceversa, quale ritieni essere – se c’è – il più evidente punto di distanza? Il film di Marina Spada, che stimo molto e che mi ha aiutato nel mio viaggio alla scoperta di Antonia fornendomi preziosi consigli e informazioni, ha avuto il grande merito di far conoscere a un pubblico più vasto (e non solo agli addetti ai lavori, o cultori di poesia) la figura di Antonia Pozzi. I nostri approcci sono molto diversi, non solo per il mezzo usato – teatro e cinema – ma forse anche per la sensibilità. A me è piaciuto molto il suo film e forse la distanza tra i nostri lavori sta nello sguardo: il suo è più algido, in qualche misura più oggettivo; del resto anche concretamente tra lei e Antonia c’è la macchina da presa.

 

Si avvicina il centenario della nascita della poetessa. Parlaci dei tuoi prossimi progetti. “Un’esile scia di silenzio in mezzo alle voci” [poi cambiato in “L’infinita speranza di un ritorno. Vita e poesia di Antonia Pozzi” – ndr], in teatro questa volta, al Franco Parenti di Milano, debutterà la sera del 13 febbraio 2012, proprio il giorno dei 100 anni di Antonia; sempre con la regia e le immagini a cura di Maurizio Schmidt, la musica di Filippo Fanò eseguita con Mario Arcari e Leonardo Ramadori. Lo spettacolo resterà in scena fino al 19 febbraio. Nella ricorrenza del 13 febbraio ci sarà anche una giornata di studio e testimonianze sulla figura di Antonia, mentre il 17 – questa è la data più probabile, e alle ore 18 – ci sarà la proiezione del film di Marina Spada Poesia che mi guardi, con dibattito aperto. Sto poi lavorando al progetto Milano per Antonia Pozzi: cioè, nel 2012, per il centenario, una serie di eventi e spettacoli sui luoghi pozziani milanesi. E qui, per ora, vi lascio nella curiosità di sapere!

 

Qual è, a tuo avviso, il messaggio più attuale di Antonia Pozzi, e comunque quello che ti arriva più “dentro”, che senti come il più forte? … che bisogna vivere per quello per cui si potrebbe morire.

 

Una risposta del genere, da sola, vale già un’intervista intera. Ti ringrazio moltissimo.

 

Milano, 18 ottobre 2011   –  Tiziana Altea, studiosa pozziana e curatrice del sito www.antoniapozzi.it

* Causa maltempo le date dello spettacolo sono slittate di un giorno.

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Radici profonde nel grembo di un monte  
di Farneto Teatro e Scarlattine Teatro

con Elisabetta Vergani 
musica dal vivo
Mario Arcari, Filippo Fanò, Leonardo Ramadori

elaborazione immagini
Samuele Pellecchia - Prospekt

spazio scenico
Tania Corradini, Matteo Lainati

luci
Andrea Violato

drammaturgia
Elisabetta Vergani

regia
Maurizio Schmidt

con il sostegno di Campsirago Residenza Monte di Brianza