Intervista a Marina Spada / di Tiziana Altea

Ho il piacere di pubblicare su questo sito un’intervista che Marina Spada mi ha rilasciato in occasione dell’uscita − per il grande pubblico − del suo nuovo film “Poesia che mi guardi”, prodotto dalla Miro Film e dedicato a Antonia Pozzi. Dal 20 novembre 2009 al Cinema Mexico di Milano (via Savona 57)

Ho avuto modo di vedere “Poesia che mi guardi” in occasione della rassegna cinematografica che  Milano ha dedicato alla Mostra del Cinema di Venezia 2009 lo scorso settembre.
Un film che si appoggia delicatamente alla vicenda poetico‐esistenziale di Antonia Pozzi per lanciare un messaggio che definirei “politico”, forte, quello del valore inesauribile della poesia. Del bisogno che oggi, forse come non mai, c’è di essa: perché la poesia può smuovere anche forze profonde che spesso − nel vortice del nostro quotidiano e storditi da un mondo che si fa, sotto più aspetti, via via più feroce e intollerabile − dimentichiamo, o non sappiamo, di avere. E queste forze possono risvegliare in noi una volontà, una modalità di agire e vivere provando a seguire la nostra parte migliore. La poesia come energia, riflessione, ricerca, e form‐azione, dunque.
La poesia come apertura alla complessità della vita. La poesia come più‐che‐vita.
Nel film, infatti, la poesia si fa spazio d’incontro per Maria, una cineasta appassionata delle liriche pozziane e gli H5N1, un gruppo di giovani studenti universitari che seminano le loro poesie sui muri della città. Lo scambio di valutazioni, tra loro, sulla poesia e la figura di Antonia Pozzi diviene una sorta di laboratorio culturale e insieme esistenziale.
In questo film non poteva mancare Milano: era la città della poetessa, ma è anche la città di Marina Spada. Una metropoli indaffarata, indifferente e convulsa, in cui ci si può sentire degli esclusi proprio perché se ne è consumati. Un soggetto e uno sfondo che la regista aveva già ben delineato nel suo film “Come l’ombra”. Ma Milano è una città che può anche sapere di umano se lo sguardo si sposta da rotaie e palazzi e, rallentando, mette a fuoco i volti e scende dentro, alle paure e ai desideri… Uno sguardo che, in “Poesia che mi guardi”, ha dato a Milano una nuova opportunità di riscatto: quello di veicolare poesia, di renderle omaggio rendendola visibile. Per farla condividere. Così è successo ai versi di Antonia Pozzi in questo film.

Tiziana Altea
Studiosa di Antonia Pozzi, realizzatrice e curatrice del sito  www.antoniapozzi.it

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INTERVISTA A MARINA SPADA SUL SUO NUOVO FILM “POESIA CHE MI GUARDI”
di Tiziana Altea

Marina, perché un film su Antonia Pozzi?
Cercavo una storia al femminile che valesse la pena di essere raccontata. Sapevo da tempo chi fosse Antonia Pozzi e finito il mio film Come l’ombra avevo bisogno di un altro progetto su cui gettarmi anima e corpo. Ho proposto a Marella Pessina di scrivere con me e insieme abbiamo cominciato a studiare a fondo tutti gli scritti e le poesie della Pozzi. Abbiamo scandagliato la sua vita e ci siamo confrontate. E’ stato un lavoro sofferto, anche di confronto duro fra noi e la Pozzi e fra me e Marella. Sapevamo entrambe di voler fare questo film per dare giustizia all’opera e alla persona di Antonia Pozzi.

Un film sulla poesia nella poesia, attraverso il ruolo giovane e intenso del gruppo H5N11* e dell’alter ego della Pozzi, Maria, interpretato da Elena Ghiaurov.
Gli H5N1 sono entrati nella sceneggiatura grazie all’apporto di Simona Confalonieri che è venuta ad aiutarci in fase di scrittura avanzata perché volevamo trovare un’idea forte per transitare la figura e l’opera di Antonia Pozzi nel presente. Perché il film è sì su Antonia Pozzi, ma in senso più profondo sulla necessità della poesia oggi e sempre.

Quale criterio è stato usato per la scelta delle liriche e degli altri scritti pozziani citati nel film? In altre parole: attraverso la trasfigurazione cinematografica quale interpretazione ha voluto darne?
Quando si deve scegliere forzatamente è una sofferenza, ma è anche un modo per arrivare al cuore del problema. Le poesie sono state scelte per sottolineare i passaggi biografici e i mutevoli stati d’animo della Pozzi e sostenere un pensiero che riecheggi nel presente. Mi è anche chiaro che ha inciso nella scelta anche un certo gusto personale. Rappresentare le poesie è stata una bella sfida, per lo più ho cercato di lavorare per la rappresentazione, più che del testo, del sottotesto emotivo.

Cè un uso sapiente delle immagini nel film che sfrutta liricamente anche le fotografie scattate dalla stessa Pozzi (che era anche fotografa), nonché spezzoni dei filmini familiari recuperati grazie a Onorina Dino (Responsabile e curatrice dell’Archivio Pozzi). Immagini che creano ponti e cesure, immagini che sembrano, a tratti, ritmate sul respiro, a cercare delle pause e spazi di silenzio…
Questa è stata una grande fortuna e la dobbiamo alla dedizione con cui Onorina Dino si è dedicata alla conservazione di questi materiali. Abbiamo quindi potuto contare su 38 min di girato 8 mm e migliaia di foto che ci hanno dato la possibilità di inserire nel film sia la Pozzi stessa che il suo sguardo. Il silenzio c’è perché la poesia ha bisogno di silenzio per poter toccare il nostro cuore e allo stesso modo può far scaturire la poesia dalle immagini.

Un silenzio che, invece, è difficilissimo da recuperare a Milano… Milano senza soluzione di continuità dai tempi di Antonia? Che spaccato ne ha voluto dare, anche in relazione agli altri luoghi della Pozzi, come Pasturo in Valsassina e le sue amatissime montagne?
La Milano di “Poesia che mi guardi” è quella di Antonia Pozzi e quindi dei luoghi da lei frequentati. La ricerca è stata filologica: siamo andati alla scoperta di ciò che esiste ancora oggi ma che è rimasto come allora era. La città dei quartieri agiati ma anche quella dei luoghi periferici dove la Pozzi andava con Lucia Bozzi e Dino Formaggio, testimoniata anche dalle sue foto. Il controcanto della città, dove la Pozzi doveva indossare gli “abiti di scena” imposti dal suo livello sociale, sono le montagne e il paese di Pasturo dove lei si sentiva libera e vera, vicina alla natura e alla gente non artefatta che amava con tutto il suo cuore.

Antonia Pozzi è stata donna e poeta “ in anticipo sui tempi”, come ha affermato Graziella Bernabò, biografa e critica della poetessa. In cosa consiste, secondo lei, la modernità e l’originalità di Antonia Pozzi? E perché ha sostenuto che, se fosse viva oggi, sarebbe una punk?
La sua modernità sta, oltre che nei contenuti, nell’aver rivendicato in modo sofferto la sua identità di poeta, contro il cupo e maschile conformismo della sua epoca. L’originalità sta nella sua voce poetica portatrice dell’alterità in un mondo che non riconosceva dignità alle donne.
L’associazione col punk mi è arrivata da alcuni suoi testi, quelli più carnali, liberi e probabilmente dall’idea di “no future”, cioè di mancanza di speranza che va man mano a prendere corpo nelle sue opere.

Qual è stato, invece, secondo lei, il limite della Pozzi?
Il limite è stato quello di soccombere alle critiche mosse continuamente al suo modo di essere e alla sua pratica della poesia, ma so per esperienza personale che è molto difficile capire se il proprio lavoro ha valore senza il rispecchiamento degli altri e il riconoscimento. Era una ragazza umile e di grande sensibilità, bisognosa d’amore come tutti e che purtroppo non ha mai avuto la forza di legalizzarsi e nessuno mai l’ha fatto nei suoi confronti.

Cosa intende per “legalizzarsi”?
Per legalizzarsi intendo trovare dentro se stessi la forza di essere ciò che si è, pur senza l’autorizzazione degli altri. E per le donne fare questo è ancora più difficile.

Qual è il punto forte del film?
Spero che questo potrà notarlo il pubblico quando andrà a vedere “Poesia che mi guardi”. Da parte mia posso dire di averlo fatto senza risparmiarmi. Ma tutti, dal primo all’ultimo, senza differenza di ruolo, hanno prestato senza risparmio il proprio impegno e la propria dedizione.

Quanto di Marina Spada c’è in questo film? Cosa della Pozzi è entrato in Marina Spada?
Credo che in questo film ci sia di me l’attenzione alla città di Milano e la mia disperazione adolescenziale, grazie a dio superata crescendo. E poi c’è il personaggio di Maria, la filmaker, che in qualche modo mi rappresenta. C’è anche il tema “Arte e V ita” centrale per la Pozzi e per tutta quella generazione. Anche per me non c’è Arte senza V ita: ogni scelta artistica è una questione di morale e quindi posizione etica rispetto alla vita.
Della Pozzi mi è rimasta l’emozione di aver conosciuto un’anima grande, generosa, poetica, che amava il mondo accogliendone la gioia e non negandone il dolore.

Vuole chiudere questa intervista con una poesia della Pozzi?
Una delle mie preferite (e di Marella Pessina) è: “Il cane sordo”, una struggente poesia in cui si affronta il tema dell’isolamento come destino di coloro che, come la Pozzi, non rinunciano a se stessi e alla loro vocazione, conquistandosi così una sofferta libertà.

La ringrazio infinitamente. E buona visione a tutti!

Milano, 6 novembre 2009

* (Il nome di laboratorio dell’influenza aviaria, scelto da un gruppo di giovani poeti)

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