Dalle Lettere – A Paolo Treves – Milano, 5 novembre 1938

Mio caro Pa,
mercoledì giorno dei morti (L’è el dì, di Mort, alegher! – ti ricordi?) con la tua lettera in tasca, ho girato per un’ora, verso sera, nei viali del Cimitero. Avevo un mazzetto di garofani bianchi e ne ho lasciato uno a ciascuno dei miei e dei vostri morti: sono stata anche dalla vostra povera zia Iginia e proprio là mi ha colto il buio; non c’era più nessuno, il guardiano sulla soglia del cancello gridava “all’uscita” e tutto era così spaventosamente triste. Pensavo molto anche a Pimpi, di cui non so più nulla e di cui vorrei tanto, invece, potermi non dimenticare, che è stato tanto buono e gentile con me. Tutto quel che mi scrivi è immensamente penoso: mi faccio una quantità di domande alle quali purtroppo non può esserci risposta. E dirti di sperare – anche se te lo dico con tutta la convinzione e la tenerezza del mio cuore fraterno – che ti serve, ora, nei giorni bui?
Molto spesso, tutte le volte che penso a te, mi chiedo se ci sarà dato ancora nella vita di camminare una mezz’ora insieme, sotto braccio, con le nostre anime così profondamente diverse eppur così profondamente unite da uno stesso silenzio fatto di accorta tensione, di lento svariare di ricordi sensibili di odori, di colori, di povere parole di poesia strozzate prima d’essere dette… Ti ricordi, Pa caro, Pa vecchio? Io mi ricordavo in un modo così cocente, l’altra sera, sotto gli alberi del Parco, con le foglie umidicce che mi legavano il passo e la nebbia intorno ai fanali, muta, come i fumosi silenzi di un film di Duvivier… Duvivier, ricordi? Io non so – te lo confesso – se avrò ancora il coraggio di affrontare da sola un viso di Jean Gabin. Tutto è così legato al tuo ricordo, così all’unisono con lo sfondo della tua anima…
Mio caro Pa – Io faccio malissimo – lo so – a scriverti queste cose: ma come fare, che dire, se da dieci anni eravamo amici e chi mi ha consolato nei giorni di dolore siete pur sempre stati voi ed ora siamo così lontani, ciascuno solo con la sua lotta, senza nemmeno potersi fare una carezza, di quelle magari che calmano – per una sera – ? Ma io te ne mando tante, Paolo, e anche alla tua mamma: sono con voi, con Pè, sempre sempre – e se volete qualcosa ch’io possa fare, scrivetemi. Ti faccio tante carezze sul tuo povero viso magro, ti abbraccio.
Tognin

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