‘Ti scrivo dal mio vecchio tavolo’

Edito da Àncora, curato da Graziella Bernabò e Onorina Dino, con un contributo di Marco Dalla Torre e la postfazione di Tiziana Altea, è nelle librerie l’Epistolario di Antonia Pozzi ‘Ti scrivo dal mio vecchio tavolo. Lettere 1919-1938’.

Il volume è stato presentato mercoledì 26 novembre, alle ore 17.30, all’Àncora Store in via Pavoni 12 a Milano.
Interventi di: Graziella Bernabò, saggista e biografa di Antonia Pozzi; Onorina Dino, curatrice delle opere di Antonia Pozzi e depositaria dell’Archivio Pozzi; Tiziana Altea, studiosa pozziana; Marco Dalla Torre, saggista e critico letterario.
Introduce: Paolo Tempo, Presidente Phos Onlus.
Lettura dalle opere di Antonia Pozzi: Elisabetta Vergani, attrice.

Documentazione:

Articolo di Paolo Tempo su ‘Il mirino’  >>>>

 

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Di seguito si riportano, dall’Epistolario, tre estratti inediti.


Lettera inedita di Antonia Pozzi ad Antonio Maria Cervi

[?] 22 maggio 1932[1]

 

[…]. N. [2], santità della mia vita: nemmeno uno, nemmeno uno dei nostri sogni deve vacillare dinnanzi ai tuoi occhi, impallidire. Tutti chiari e fermi, come giornate di sole, sicuri. Perché io sono la tua sposa e tu il mio sposo dolcissimo: e questo è quello che è: null’altro. N., tu non devi pensare che io non sappia attenderti; non devi più; perché saperti con quel pensiero è peggio che morire, per me; credilo […] io sono così serena nell’attesa di donarmi a te. Perché di te, quando nacqui, sapevo di dover essere: perché se no non sarei nata. La vita sarebbe un brutto scherzo stupido, se non potessi diventare la tua compagna, la mamma del bimbetto tuo

*****

Lettera inedita della madre ad Antonia Pozzi

 [?] 22 agosto 1928[3]

 

Cara fiolina – queste poche righe te le mando proprio per te sola per dirti tutto il bene che ti voglio per le grandi soddisfazioni che mi dai – Non devi badare se io sono semplice e di poche parole: madre natura mi ha fatta così! – ma io osservo molto – nel mio silenzio – e so tutto comprendere – compatire – aiutare… Per questo tu mi devi dare tutta la tua confidenza e dirmi tutto quanto ti passa nell’anima e nel cuore: vedrai che così il nostro affetto diventerà sempre più saldo – ci aiuteremo e sosterremo a vicenda e saremo felici! – In mezzo alla gioventù moderna quanto sono orgogliosa di avere una fiolina così diversa! così superiore a tutte con la sua semplicità e serietà! Che il Signore ti benedica per tutte le gioie che ci dai!…

Ciao cara… tanti baci dalla tua
mamma

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Lettera di Lucia Bozzi a Paolo, Piero e Olga Treves

 

[luogo non precisato,13 dicembre 1938][4]

Miei carissimi,

vorrei sapervi scrivere, almeno stasera. Ma ciò che avvenne fu così spaventoso, ch’io ne ho l’anima scardinata, e come divelta.

Dunque, mi proverò a narrarvi i fatti nudi, così. Giovedì sera c’era un concerto al Quartetto: Antonia venne con me. In macchina scherzammo, ricercando un tema da dare l’indomani ai miei ragazzi; nell’intervallo essa tentò di convincermi, perché il giovedì seguente, giorno dell’Immacolata e vacanza, andassi con lei al Breuil, a godermi il sole. Poi si fecero progetti per le vacanze di Natale: io insistevo per la solitudine di Camogli, lei per la neve di Misurina, dove aveva scritto proprio quel giorno. Al ritorno, in macchina, non parlava; ma c’era con noi la cugina di Torino[5] ed era tanto tardi, chissà. Nel salutarla, le strinsi la mano con tenerezza muta, come a significare che avrei voluto dirle tante cose.

L’indomani, ero tornata appena da Brescia, che venne la cameriera a dirmi che a casa erano tutti disperati, perché Antonia era uscita di scuola alle undici invece che all’una, dicendo che non stava bene e nessuno ancora l’aveva vista. Sbalordimento, poi paura. Corro con un taxis all’Ospedale: la trovo su un lettino di corsia: volto acceso, respiro forte, serrata in un sonno invincibile, atroce. Dopo un poco, arrivarono il Papà e Donna Lina. Furono due giorni di lotta disperata, violenta; per svegliarla da quel sonno pacato e ostinato, per aprirle gli occhi al nostro volto trepido, per scuotere il torpore muto delle membra già immobili. E nulla, e nulla. L’aveva trovata un contadino lungo un ciglio erboso, nella campagna solitaria, verso Chiaravalle; il mattino, dalle nove alle undici, in classe, aveva molto pianto, e i suoi bambini le erano andati intorno, premurosi, le avevano fatto, quando era uscita, gli auguri. Dio sa.

[…].

 


Note:

[1] Inedita. Frammento di una lettera ad Antonio Maria Cervi, ivi, p. 160.

[2] N. è l’iniziale di Nello, da Antonello.

[3] Lettera scritta su mezzo foglio di carta da lettera e verosimilmente non spedita bensì lasciata ad Antonia in casa. Questo breve scritto precede di un giorno la lettera del 23 agosto 1928, nella quale A.P. confida alla Nena il suo grande dolore per il trasferimento del professor Antonio Maria Cervi. La madre deve aver colto lo stato d’animo della figlia e vuol farle capire quanto le è vicina.

[4] Fotocopia di lettera manoscritta.

[5] Verosimilmente Mariafranca Bollea.

 

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